mercoledì 24 ottobre 2012

A tu per tu con... Marco Bertoli!






Ed eccoci di nuovo qui, creature del bosco! Oggi sotto gli alberi di questa Foresta Incantata c'è un ospite speciale. Parlo di Marco Bertoli, autore del libro "La Signora che vedeva i morti", ve ne ho parlato sul blog la scorsa settimana, ricordate? Per rinfrescarvi la memoria potete cliccare qui.  Bene, fatte le presentazioni iniziamo l'intervista, che ne dite?

Ciao Marco, presentati ai lettori del blog.

Salve a tutti! Sono nato a Brescia il 27 gennaio 1956, durante uno degli inverni più freddi del secolo scorso (fa effetto leggerlo!), quello della famosa e “vera” nevicata a Roma. Forse è per questo motivo che amo l’estate e il caldo come i gatti. Lombardo di nascita ma non di radici perché i miei genitori sono lunigianesi: da parte di madre discendo dai Marchesi Malaspina, signori di quelle terre. Sono figlio unico, tuttavia il mio profilo psicologico NON denota alcuno dei tratti caratteristici di tale condizione. Detto in altre parole, sono abituato a lottare per raggiungere i miei scopi, niente “pappa pronta”.
Quando avevo sette anni la mia famiglia si trasferì a Cesena. Della “Romagna solatia” e della sua gente cordiale e sanguigna, oltre che a bei ricordi, mi porto dietro il marchio della “esce” romagnola che mi fa distinguere d’acchito dai toscani.
Nel 1974 sono venuto a Pisa per studiare e da questa città non mi sono più mosso. Mi sono laureato in Geologia, ho incontrato e sposato Anna (a Dicembre saranno 31 anni di matrimonio!), ho contribuito con metà del mio patrimonio genetico alla nascita di Debora e Serena, le mie figlie di 28 e 22 anni. Lavoro come Tecnico Chimico presso il Dip. di Scienze della Terra dell’Università.
I miei svaghi sono la lettura, gialli storici e saggi di storia militare in primis, i videogiochi RPG (in coppia con la moglie) e i wargame da tavolo. Credo che possa bastare.

Benissimo ^^ Ora che ti conosciamo un po' meglio, parliamo del tuo libro "La signora che vedeva i morti". Come è nata la storia in esso contenuta?

Dalla voglia pura e semplice di scrivere un romanzo in cui potessi fondere i generi letterari e cinematografici che mi hanno accompagnato, divertito e fatto pensare negli anni: i saggi storici, le storie di avventura, i racconti di fantasmi, il giallo e il fantasy. Un po’ come in una reazione chimica: si parte da molti reagenti e si ottiene un unico prodotto. Mi divertiva l’idea di prendere i “Tre moschettieri”, le storie di Cadfael, “NCIS” e “Ghost whisperer” e mescolarli insieme per ottenere un cocktail tutto mio.
A ciò si aggiungono l’amore per la Lunigiana, la terra dei miei avi, in cui affondano le mie radici e scaturiscono i tratti del mio carattere (un connubio tra orso, gatto e lupo solitario), e il volere rendere omaggio alla città in cui vivo donandole una storia alternativa in cui non è stata sconfitta alla Meloria e ha potuto così assurgere al ruolo di “grande potenza”.

Questo libro è da considerarsi storico, ma ha in sé gli elementi tipici del giallo e del fantastico. Questi tre generi messi insieme sortiscono su di me un certo fascino e mi rendo conto che deve essere stato difficile farli combaciare. Per cui ti chiedo: quanto è stato impegnativo ricostruire un'epoca storica? Quanto studio c'è dietro al tuo libro?

Quando scrivi un romanzo ambientato in un’epoca storica diversa dalla nostra è indispensabile documentarsi il più possibile per non cadere in errori marchiani o anacronismi da “matita blu”. Sinceramente, poi, ero stanco di leggere gialli storici ambientati nel Medioevo o nell’Età Vittoriana, quindi ho voluto ambientare la storia in un secolo che di solito è famoso soltanto per le innumerevoli guerre che lo hanno travagliato. Il 1600 è, in effetti, un secolo poco conosciuto e molto bistrattato quindi non deve stupire se è difficile riuscire persino trovare testi che ne parlino approfonditamente non tanto negli aspetti della Storia con la “s” maiuscola quanto in quelli della vita quotidiana. Per fortuna un mio predecessore ha scritto un “romanzuncolo” ambientato nello stesso periodo per cui mi ha dato una mano. Inoltre il fatto di aver ambientato la mia opera in una ucronia in cui la magia esiste mi ha permesso una maggiore libertà di azione. Scherzi a parte, sì, ho fatto ricerche e ho letto molto, tuttavia ritengo che il compito più impegnativo per uno scrittore che descrive un'altra epoca sia quello di pensare con la mentalità degli uomini di quel tempo, di immedesimarsi in persone che avevano un modo di porsi nei confronti della vita e dei suoi accadimenti differente dal nostro. Grazie al cielo, però, i motivi che spingono all’omicidio, e cioè denaro, gelosia, odio, amore, potere solo per citarne alcuni, rimangono sempre i soliti!

Debrena è un personaggio che mi incuriosisce molto, così come gli altri due personaggi che compaiono nella trama, il colonnello e il mago. Parlaci di loro.

Dunque, Debrena… Anzitutto il nome: nasce dalla fusione, come è spiegato nel romanzo, di Debora e Serena, i nomi delle figlie. L’alternativa, Serora, non mi suonava per niente bene! E’ una ragazza tredicenne divenuta cieca perché colpita da un fulmine cinque anni prima dello svolgersi della storia. Rassegnata a una vita alle dipendenze della carità altrui, scopre per caso di possedere la capacità di “vedere” le anime degli assassinati e questa sua dote le stravolgerà totalmente la vita.
Il colonnello dei Reali Moschettieri Manfredi Gambacorti discende da D’Artagnan e i suoi noti compari. Abile spadaccino, carattere deciso e onesto, intelligenza pronta, rappresenta la Legge, per quanto sia sempre pronto ad addomesticarla se questo può aiutare nella ricerca del colpevole, e incarna le vesti del poliziotto dotato di acume investigativo e della capacità di soppesare i sentimenti delle persone coinvolte nelle indagini.
Il mago giudiziario Franco Gentilini riveste le funzioni di medico legale e poliziotto della scientifica, si serve cioè degli incantesimi per trovare le prove presenti sulla scena del crimine ed eseguire le indagini autoptiche. Al contrario del suo superiore è ligio al dovere e dotato di un notevole senso dell’umorismo. La magia nel mondo che ho immaginato ha poco da spartire con quella cui siamo normalmente abituati nei romanzi fantasy classici perché è regolata da leggi scientifiche, studiate da un tal Galileo Galilei, e gli incantesimi si basano su algoritmi ben precisi: non un’arma assoluta, per quanto sia utilizzabile anche in tal senso, piuttosto una tecnologia alternativa che mette a disposizione “strumenti” utili per la vita quotidiana.

E' una domanda che farò sempre agli scrittori, per quanto la sua risposta possa essere per lo più ovvia e scontata: quanto di te hai messo in questo libro? C'è un personaggio che ti somiglia in modo particolare?

Questa volta la risposta è quasi telegrafica: tutto. Impossibile per me, infatti, riuscire ad astrarmi dalla mia Weltanschauung, la concezione che ho del mondo e della vita in genere. Proprio per questo guardo con occhio se non benevolo almeno comprensivo i “cattivi”, perché sono diventati tali per una serie di circostanze su cui spesso non avevano il minimo controllo.
Nessuno dei personaggi mi somiglia: sono stato bene attento su questo punto. Piuttosto il mago ricalca fedelmente un mio carissimo amico nonché collega di lavoro. Il bello è che, quando ha letto il libro, non se n’è accorto, mentre la moglie, non appena scorsa la descrizione che ne ho fatta, ha commentato: «Ma questo sei tu!».

Ahahah xD Adesso però la domanda sorge spontanea… Come mai hai scelto di non somigliare a nessun personaggio del tuo libro? In genere si tende sempre a lasciare un'impronta di sé qua e là, un po' in un personaggio, un po' in un altro... mi incuriosisce il fatto che tu abbia fatto il contrario.

Non voglio assolutamente passare per un eclettico o uno “snob” per principio, semplicemente mi “accontento” di assumere le veci di “Dio”! Voglio dire che creare dei personaggi e una storia in cui farli vivere e morire è più che sufficiente per soddisfare il bisogno di protagonismo del mio “ego”, per cui non sento la necessità di essere rappresentato in particolare da uno dei protagonisti della vicenda. E poi è una sfida che mi affascina il porre un personaggio di fronte a un problema o a una scelta e descrivere i ragionamenti e le emozioni di una persona che non sei tu: cosa penserà? Come reagirà? Io farei così e cosà, ma lui o lei? Ti assicuro che è dura riuscire ad astrarsi il più possibile dalla propria “forma mentis”.
Comunque, le regole fondamentali che seguo per rispondere a tali quesiti sono due aforismi di Oscar Wilde, un gigante che oggi spopolerebbe su Facebook, Twitter e YouTube: “E' assurdo dividere le persone in buone o cattive. Le persone sono deliziose o noiose” eIl buono finisce bene e il cattivo male. Questa è la Letteratura”.

Descrivi il tuo libro con tre aggettivi

Questo è un colpo basso, chiedere a uno scrittore di giudicare il proprio lavoro: “ogni scaraffone è bello a mamma soja”! Ad ogni modo: Giallo, fantastico e avvincente.

Hai in progetto altri romanzi?

Ho già scritto un altro giallo storico ambientato a Ur, in Sumeria, nel 3000 a. C. e sono impegnato nella perigliosa “quest” di un editore disposto a pubblicare un romanzo lungo all’incirca il doppio della “Signora”. In questo momento sto lavorando, rubacchiando il tempo qua e là, a un altro romanzo con Debrena e compagni come personaggi.

Dunque le avventure di Debrena non finiscono qui...! La Signora però è autoconclusivo? Oppure il finale lascia intendere di un seguito?

Sono sincero quando affermo che non era per nulla mia intenzione scrivere un seguito della “Signora” che è un romanzo compiuto e concluso in se stesso. Credo, infatti, che sia più divertente e gratificante cimentarsi con storie e personaggi sempre diversi, tuttavia i commenti di chi ha letto il libro sono invariabilmente terminati con la domanda: “Quando scrivi il seguito?”. Come opporsi a una simile richiesta? Citando di nuovo Wilde, “Posso resistere a tutto tranne che alla tentazione”!

Bene Marco, l'intervista è finita, lascio a te la parola per fare un saluto ai lettori e... grazie per aver accettato il mio invito sul blog!

Spero di non avervi annoiato con le mie risposte: vi confesso che sottostare a un’intervista è assai più stressante dello scrivere un libro!
Mi auguro di essere riuscito a incuriosirvi quel tanto che serve per spingervi a leggere il mio romanzo, non perché m’interessi il numero di copie vendute ma per il motivo fondamentale per cui ho scritto una storia: perché desidero che altri la leggano e la trovino avvincente, condividendo con me emozioni e spunti di riflessione, nel bene o nel male.
Prima di lasciarvi, un cordiale e sincero grazie a Mirial per la gentilezza e l’ospitalità che mi ha offerto sul suo blog.
Ciao!

Bene lettori, io mi sono divertita molto ad intervistare Marco e sinceramente il suo libro mi incuriosisce molto. Mi è piaciuta l'idea di fondere i nomi delle due figlie per dare vita ad un nome unico e particolarissimo, così come mi affascina il genere di questo libro che fonde il giallo con il fantasy e lo storico. E voi? Che ne pensate? 


8 commenti:

LinkWithin

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...