venerdì 28 novembre 2014

Fiabe dal Mondo # 12: Francia


Bentornate nella mia Foresta Incantata, creature del bosco!
Dopo tanto tempo, torno a postare una favola e, devo essere sincera, questa era la mia preferita quando ero bambina. Mia nonna me la raccontava tutte le sere prima di andare a dormire, era un piccolo rito a cui non riuscivo proprio a rinunciare.
Eccomi allora a lasciare la parola a Menestrello, che sarà sicuramente più bravo di me nel raccontarvi la storia della Gatta Bianca.




Tre figli ed un Re sono i protagonisti
di questa storia che non ha antagonisti.
Tre prove da superare dovranno
se salire sul trono vorranno,
ma una gatta bianca nel suo grande castello
nasconde nell'animo un pesante fardello;
uno dei figli la troverà 
ed una ad una le prove supererà.
Così vi racconto la storia d'un Re
che di figli ne aveva ben tre;
di lasciar la corona non ne voleva sapere,
ed ecco ordunque cosa fece accadere...

C'era una volta un Re che aveva tre figli belli, forti e coraggiosi. Egli temeva che volessero salire sul trono prima della sua morte; cominciava a essere un po' in là con gli anni, ma non se la sentiva di cedere loro il posto. Pensò, dunque, che il miglior modo per vivere tranquillo fosse quello di tenerli a bada a furia di promesse, che avrebbe saputo sempre come mandare in fumo. Li chiamò nelle sue stanze e disse: "Miei cari figli, sapete che la mia età avanzata non mi permette più di badare agli affari di Stato; temo che i miei sudditi ne risentiranno, ed è per questo che ho deciso di mettere la corona sul capo di uno di voi tre. Tuttavia, credo sia giusto che per questo mio regalo nei vostri confronti, voi cerchiate di compiacermi. Penso che un cagnolino vispo, affidabile e grazioso potrebbe tenermi un'ottima compagnia quando avrò lasciato il trono. Non mi va di fare preferenze tra i miei figli, per cui chi di voi tre mi porterà il cagnolino più bello, sarà il mio erede". 
I principi restarono sorpresi del capriccio del Re, ma presero congedo dal padre, il quale li fornì d'oro e di pietre preziose, soggiungendo che entro un anno, né più né meno, in quello stesso giorno e alla medesima ora, dovessero tornare a portargli ciascuno il suo cagnolino. 
E così partirono, imboccando strade diverse. I due maggiori ebbero molte avventure, ma io racconterò soltanto quelle del minore, un giovane grazioso, di carattere allegro e piacevole. Cantava con gusto, suonava il liuto e la chitarra talmente bene da incantare gli ascoltatori, sapeva anche dipingere. 
Nei primi tempi del suo viaggio non perse tempo, e prese a cercare fin da subito il cane da portare in dono al Re. Camminava e camminava, ma un giorno si trovò sorpreso dalla notte, dai tuoni e da un acquazzone nel bel mezzo di una foresta. Dopo aver camminato per un bel po', scorse un bagliore; forse, non molto lontano, c'era una casa, dove avrebbe potuto mettersi al coperto. Giunse dunque alla porta di un castello, il più magnifico che si possa immaginare. La porta era d'oro e il suo bagliore limpido e smagliante illuminava i dintorni. I muri erano di porcellana sulla quale si vedeva dipinta la storia di tutte le fate dalla creazione del mondo in poi; c'erano persino le storie di Pelle d'Asino e della Bella Addormentata nel bosco.
Bussò la porta, che di lì a un minuto si aprì, senza che egli potesse vedere altro che una dozzina di mani volteggiare nell'aria, ciascuna delle quali teneva una fiaccola accesa. A quella vista restò così intontito, che non sapeva decidersi a entrare, quando sentì altre mani che lo spingevano da dietro con una certa insistenza. Fu così che entrò, quasi a malincuore, e per sicurezza portò la mano all'impugnatura della spada. Stava attraversando un corridoio rivestito di pietre preziose, quando sentì due voci angeliche che cantavano così: 

Delle mani che vedete 
non vi prenda sospetto: 
ché sotto questo tetto 
non c'é da temer nulla, 
se non le seducenti 
grazie di un bel visino; 
a meno che il vostro cuore 
non voglia rimaner schiavo d'amore.

Il Principe non credeva che lo invitassero con tanta cortesia per poi tirargli un colpo sinistro, per cui, sentendosi sospinto, entrò in una sala di madreperla. Passò poi in altre sale ornate in mille modi diversi e così ricche di pitture e di marmi preziosi da farlo restare sbalordito. Potrei raccontarvi per ore le meraviglie che vide, tutto era talmente meraviglioso che il Principe credette di essere caduto in un sogno. Dopo aver attraversato tante stanze da averne perso il conto, le mani che lo guidavano lo fecero fermare, e vide una poltrona grande e molto comoda che si accostò da sola al caminetto. In quel mentre il fuoco si accese e le mani  cominciarono a spogliarlo dei suoi indumenti da viaggio. Era ancora fradicio e rischiava di prendersi un malanno. Le mani gli porsero una camicia così bella che sembrava stesse andando a un matrimonio, poi gli diedero anche una veste da camera di stoffa trapunta d'oro e ricamata di piccoli smeraldi. Le mani, senza corpo, gli avvicinarono una toeletta e lo pettinarono con leggerezza e maestria, infine lo aiutarono a vestirsi. 
Le mani lo condussero in un'altra sala. Sulle pareti erano rappresentate le storie dei gatti più famosi; c'erano Rodilardo appeso per i piedi nel Consiglio dei Topi, il Gatto con gli stivali e il marchese di Carabà, persino i gatti al Sabba delle streghe! 
La tavola era apparecchiata per due. Il Principe vide alcuni gatti che andavano a prendere posto in una piccola orchestra fatta apposta per loro. Tutt'a un tratto, ciascuno di essi cominciò a miagolare in diversi toni e a grattare con gli artigli le corde di una chitarra. Il Principe si tappò le orecchie e si lasciò andare alle risate, guardando i gesti e le smorfie di quei musicanti fuori dal comune. Mentre stava pensando alle tante cose che gli erano accadute in quel castello, vide entrare una figurina coperta dalla testa ai piedi da un velo nero. L'accompagnavano due gatti, col mantello e la spada al fianco e, dietro di loro, un numeroso corteo di gatti che portavano trappole e gabbie piene di sorci. Il Principe era fuori di sé dallo stupore e non sapeva che cosa pensare. Intanto, la figurina si avvicinò e si tolse il velo: era la più bella gattina di tutte quelle che avesse mai visto. Sembrava molto giovane e anche molto triste. Miagolando dolcemente, ella disse al Principe: "Figlio di Re, tu sei il benvenuto". 
"Signora Gatta, siete molto buona a farmi una così gentile accoglienza, ma voi non mi date l'aria di essere una bestiolina come tutte le altre: il dono della parola e il bel castello che possedete ne sono una prova lampante." 
"Figlio di Re, ti prego, non farmi complimenti. Io sono semplice di modi e di parole, ma ho un buon cuore. Animo!" continuò ella "si serva subito in tavola e i musicanti tacciano, perché tanto il Principe non intende nulla di quello che dicono." 
Fu portata la cena, servita dalle mani misteriose; sembrava che avessero corpi invisibili. La gatta lo invitò a mangiare e lui non se lo fece ripetere. 
Alzati da tavola, la Gatta Bianca invitò il suo ospite a passare in un'altra sala, dove c'era un teatro sul quale davano un balletto dodici gatti e dodici scimmie. La serata si concluse in allegria e Gatta Bianca diede la buona notte al suo ospite, mentre le mani lo ripresero e lo condussero in un'ala del palazzo del tutto differente da quella che aveva visto. 
Il Principe si mise nel letto, ma dormì poco e la mattina fu svegliato presto dalle mani, che gli misero addosso un vestito da caccia. Gatta Bianca aveva organizzato una battuta, e lui era gentilmente invitato a partecipare. Non ci fu mai un'altra caccia divertente come quella. Al termine della stancante giornata, Gatta Bianca cenò insieme al Principe. Quest'ultimo parve dimenticarsi del cagnolino che aveva promesso di portare al Re,  non aveva altro pensiero che stare con Gatta Bianca. Trascorsero le giornate seguenti facendo festa: una volta la pesca, poi la caccia, e balli, tornei e altri passatempi divertenti. Col passare del tempo, il Principe si era scordato di tutto, perfino del suo paese. Qualche volta si pentiva di non essere un gatto per poter passare tutta la vita in così amabile compagnia.
Un anno passa presto, specialmente quando non si hanno né seccature né pensieri. Gatta Bianca sapeva il giorno in cui egli doveva tornare a casa e, siccome il Principe non ci pensava più, pensò di ricordarglielo: "Ti restano solamente tre giorni per cercare il cagnolino tanto desiderato da tuo padre; i tuoi fratelli ne hanno trovati di bellissimi!" 
Il Principe ritornò in sé e, meravigliandosi della sua negligenza, disse: "Per quale incantesimo ho potuto scordarmi di una cosa che mi stava così a cuore? Che ne sarà della mia gloria e della mia fortuna, ora? Dove troverò il cagnolino giusto per guadagnarmi il Regno e un cavallo così veloce da arrivare in tempo?" 
"Figlio di Re, non disperare: io sono tua amica, puoi trattenerti qui ancora un giorno, perché sebbene da qui al tuo paese ci siano più di duemila miglia, il mio cavallo ti ci porterà in meno di dodici ore". 
"Vi ringrazio, mia bella Gatta, ma non mi basta di tornare da mio padre, bisogna che gli porti anche un cagnolino." 
"Tieni", gli disse lei, "eccoti una ghianda. Qui dentro troverai un cane bellissimo." 
"Via, via, signora Gatta! Vostra Maestà si prende gioco di me." 
"Avvicina la ghianda all'orecchio e lo sentirai abbaiare." 
Il Prinicipe obbedì e si accorse che la Gatta diceva il vero. Ora saltava dalla contentezza; voleva aprirla per la curiosità, ma Gatta Bianca lo persuase ad aspettare di essere al cospetto di suo padre. 
Il Principe la ringraziò mille volte e le diede un addio che veniva dal cuore: "Vi giuro che i giorni mi son passati come un lampo; volere o non volere, sento che mi dispiace lasciarvi. Sebbene voi siate qui la sovrana, e i gatti che vi corteggiano siano più spiritosi e galanti dei nostri, vorrei invitarvi a venir via con me." 
Detto ciò, si salutarono e il Principe si avviò verso il castello di suo padre, dove arrivò insieme ai due fratelli. Essi avevano portato dei cagnolini così belli e delicati che sembrava un peccato toccarli per paura di sciuparli. Furono condotti nelle stanze del Re, il quale non sapeva in favore di chi decidersi, perché i due cani presentati dai figli maggiori erano di pari bellezza. I due fratelli si disputavano già la successione al trono, quando ecco che il Principe trovò il modo di metterli a tacere, tirando fuori dalla tasca la ghianda che Gatta Bianca gli aveva dato. Apertala in presenza di tutti, ciascuno poté vedere un cagnolino, accovacciato nel cotone. Il Principe lo posò in terra, e quello si mise a ballare la sarabanda. Il Re rimase un po' deluso, perché era proprio impossibile trovare da ridire sulla bellezza di quel cagnolino. Non aveva voglia di disfarsi della sua corona, così disse ai suoi figli di essere molto felice di tutto quello che avevano fatto, ma siccome erano riusciti così bene nella prima prova, voleva avere un altro assaggio della loro abilità, prima di mantenere la parola data. Dava dunque loro tempo un altro anno per cercargli una stoffa così fine e sottile da passar tutta dalla cruna di un ago da ricamo. Tutti e tre si sentirono male al pensiero di dover rifare tutto daccapo. I due figli maggiori si rassegnarono e ognuno se ne andò per il suo viaggio. Il nostro Principe, invece, rimontò sul suo cavallo e partì per tornare al castello della Gatta Bianca. Al suo arrivo, le mani gli andarono incontro come sempre. Il Principe si avviò verso la camera di Gatta Bianca, che, non appena vide il Principe, fece mille salti di gioia.  Il Principe, in ricambio, le fece mille carezze e le raccontò l'esito del suo viaggi, raccontandole anche della seconda prova del Re. Gatta Bianca gli rispose che non era una faccenda di cui preoccuparsi e che fortunatamente nel suo castello c'erano gatte abilissime nella filatura e che vi avrebbe messo lei stessa del suo. La serata si concluse con fuochi d'artificio e una cena degna di re. 
I giorni passavano e si somigliavano tutti: la Gatta rallegrava il suo ospite con feste e banchetti di ogni genere. Gatta Bianca aveva uno spirito grazioso, seducente e ne sapeva più di quel che è lecito saperne per un gatto. Il Principe era stupito:  "I vostri modi di fare non sono naturali. Se voi mi amate davvero, carissima Micina, ditemi per quale miracolo pensate e parlate con tanto buon senso da rendervi degna di sedere fra gli uomini più illustri e intelligenti del regno." 
"Finiscila con queste domande, figlio di Re", ella gli disse, "a me non è lecito risponderti. Ti basti soltanto sapere che avrò sempre per te una zampina col guanto di velluto e che ogni cosa che ti riguarda sarà come se fosse una cosa mia." 
Il second'anno passò senza che il Principe se ne accorgesse, esattamente come il primo. Quando lo scadere del tempo imposto dal Re si avvicinò, Gatta Bianca lo avvertì che il momento della sua partenza si avvicinava e che poteva stare tranquillo, perché la stoffa era pronta: "Eccoti una noce: guarda bene di non schiacciarla, finché non sarai alla presenza di tuo padre. Dentro ci troverai la stoffa." 
"Graziosa Bianchina, vi giuro che sono talmente preso dalle vostre gentilezze per me che, se foste contenta, preferirei passare la mia vita con voi, che avere tutte le grandezzate che mi aspettano fuori di qui." 
Il Principe le baciò la zampetta e di lì a poco partì. 
I due fratelli maggiori si trovavano già nelle stanze del Re; non vedendo arrivare il fratello minore, gongolavano e bisbigliavano fra loro sottovoce: "Questa è una fortuna per noi: o è morto o è malato, e così avremo un rivale di meno nella successione al trono". 
Senza perdere tempo, spiegarono le loro stoffe, le quali, a dir la verità, erano tanto fini da passar dalla cruna di un ago grosso, ma in quanto alla cruna di un ago sottile, era inutile parlarne. Il Re, tutto contento di aver trovato questo cavillo a cui attaccarsi, mostrò loro l'ago che egli aveva prescelto per la prova. Tra i presenti si fece largo un mormorio di disapprovazione, molti accusarono il Re di essere furbo e imbroglione, ma la discussione fu interrotta dall'arrivo dell nostro Principe. Non appena il figlio minore ebbe salutato il padre e abbracciato i fratelli, cavò fuori da una scatola la noce e la schiacciò. Si aspettava di trovarci la stoffa, ma invece c'era una nocciola. Schiacciò anche questa e rimase stupito di trovarci dentro un nocciolo di ciliegia. Tutti si guardarono e il Re se la rideva sotto i baffi, divertendosi alle spalle del figlio, il quale era stato tanto stolto da credere di poter portare una stoffa dentro a una noce.  Il Principe schiacciò anche il nocciolo di ciliegia e ne uscì una mandorla. Tutti i presenti cominciarono a credere che il giovane fosse stato burlato, ma egli non se ne curò e aprì la mandorla, trovandovi un chicco di miglio. A questo punto, persino lui dubitò della Gatta Bianca, pensando che l'avesse imbrogliato per davvero, questa volta.  Come per magia, sentì la mano graffiarsi dall'unghia di un gatto. Aprì allora il chicco di miglio e lo stupore di tutti fu grande  quando ne tirò fuori una stoffa di mille metri così meravigliosa, che c'erano dipinti sopra ogni sorta  di uccelli, pesci e animali, oltre ad alberi, frutti e piante di ogni genere. Non mancava niente, c'erano scogli, conchiglie, e poi il sole, la luna, le stelle e i pianeti del cielo. C'erano persino i ritratti dei Re e dei Sovrani che regnavano allora nel mondo insieme alle mogli e ai figli.   


Quando il Re vide una tale bellezza, si fece bianco in viso, sospirò e, voltandosi ai suoi figli, disse loro: "Desidero sottoporvi a un'altra  prova. Viaggiate ancora per un anno e colui che porterà con sé la più bella fanciulla, la sposerà e sarà incoronato Re il giorno stesso delle sue nozze. In fin dei conti, è una necessità che il mio successore abbia moglie, e prometto solennemente che questa volta sarà l'ultima e non manderò più per le lunghe la ricompensa promessa". 
Era un'ingiustizia bella e buona a carico del nostro Principe. Il cagnolino e la stoffa, invece di un regno, ne meritavano dieci, ma il Principe aveva un carattere così buono che non volle litigare con il  padre e, senza fiatare, ritornò dalla sua cara Gatta Bianca. 
Fu ricevuto ancora una volta dalle mani. Tutti i gatti si arrampicarono su per le grondaie per dargli il ben tornato, con un miagolio da straziare le orecchie. 
"Ebbene, figlio di Re", ella gli disse, "eccoti tornato, e senza corona. Ti aiuterò anche questa volta, e poiché bisogna che tu porti alla corte di tuo padre una bella fanciulla, penserò io a cercarne una che ti faccia vincere il premio. Intanto divertiamoci, ho organizzato un combattimento navale fra i miei gatti e i terribili topi del paese." 
Il Principe  andò con lei su una grande terrazza che dava sul mare a godersi lo spettacolo. 
Anche quest'anno passò come i due precedenti, andando a caccia, a pesca e giocando a scacchi. Egli, di tanto in tanto, non poteva evitare di fare delle domande incalzanti a Gatta Bianca, per arrivare a scoprire per qual miracolo ella avesse il dono di poter parlare. 
Alla vigilia della partenza, Gatta Bianca avvertì il Principe: "Figlio di Re, un altro anno è trascorso e tuo padre ti aspetta. Questa volta, tuttavia, dovrai fare la tua parte per accontentare il Re nella sua ultima richiesta. Se desideri portare con te una donna degna del tuo regno, dovrai tagliarmi la testa e la coda e gettarle nel fuoco del camino."
"Io?", esclamò, "Bianchina! amor mio! E credi che sarò tanto spietato da uccidervi? Ah! Volete mettere il mio cuore alla prova, ma siate pur certa che esso non è capace di mancare all'amicizia e alla riconoscenza che vi deve." 
"No, figlio di Re, io non sospetto in te nemmeno l'ombra dell'ingratitudine; ti conosco troppo. Ma non sta né a me né a te a regolare in questo caso i nostri destini: fai quello che ti dico e saremo felici. Sulla mia parola di gatta onorata e perbene, ti farò vedere che ti sono amica..." 
Al solo pensiero di dover tagliare la testa alla sua Gattina, tanto carina e graziosa, il giovane Principe sentì venirsi per due o tre volte le lacrime agli occhi. Disse tutto quel più che seppe dire di affettuoso, per essere dispensato, ma essa rispondeva che voleva morire per le sue mani e che questo era l'unico mezzo per impedire ai fratelli di lui di impadronirsi della corona. Insisté tanto e poi tanto, che alla fine egli tirò fuori la spada e con mano tremante tagliò la testa e la coda della sua buona amica. In quel punto stesso si trovò presente alla più bella metamorfosi che si potesse immaginare. Il corpo di Gatta Bianca cominciò a ingrandire e tutt'a un tratto diventò una fanciulla, una tale meraviglia da non potersi descrivere a parole. I suoi occhi rubavano i cuori e la sua dolcezza li teneva legati; la sua figura era maestosa, l'aspetto nobile e modesto, lo spirito seducente, le maniere cortesi. Il Principe, a vederla, rimase preso da un grande stupore. Non poteva proferire parola, gli sembrava che gli occhi non gli bastassero per guardarla, e la lingua legata non trovava il verso di esprimere la sua meraviglia. Poco dopo entrò nella stanza una folla straordinaria di dame e di cavalieri, con la pelle di gatto o di gatta gettata sulle spalle, che andavano a prosternarsi ai piedi della Regina e a darle segno della loro gioia per vederla tornata nel suo stato naturale. Lei li ricevette con la bontà che rivelava l'eccellente pasta del suo cuore e del suo carattere, e dopo essersi trattenuta un poco con essi, ordinò che la lasciassero sola col Principe.
Gli raccontò allora di come fosse divenuta una gatta. Ella era figlia di un Re e una Regina che governavano ben sei regni. Quando la Regina rimase incinta di lei, intraprese un viaggio per vedere un castello leggendario il quale, si diceva, era circondato da un giardino che dava frutti prelibati e buonissimi. La Regina voleva a tutti i costi assaggiare quella frutta proibita, appartenente alle fate. Il giardino era circondato da alte mura e lei non riuscì a scavalcarle, ma si intestardì talmente tanto, che alla fine le fate acconsentirono a lasciarla entrare per mangiare la loro frutta magica, ma a una condizione: quando fosse nata la Principessa, la Regina avrebbe dovuto consegnarla alle fate, che l'avrebbero accudita e istruita fino al giorno delle sue nozze, quando sarebbe stata restituita alla sua famiglia. La Regina, temendo di morire per il desiderio straziante che aveva di quella frutta, acconsentì. 
Il Re non prese bene la notizia che la Regina portò al suo ritorno al castello, la fece rinchiudere in una torre e prese con sè la bambina, scatenando l'ira delle fate. Accortosi della sciagura che si era abbattuta su di loro e sul regno, il Re infine acconsentì a lasciare la Principessa alle fate, fiducioso di rivederla presto.
Le fate crebbero la bambina come fosse loro; costruirono una splendida torre senza porte di accesso e con un magnifico giardino sul tetto, vi misero la Principessa e ogni giorno andavano a trovarla per insegnarle tutto quello che c'era da sapere. Passavano sempre dalla finestra, posta nella parte più alta della torre, volando. Le fate non erano buone come si potesse sperare, infatti desideravano che la Principessa non trovasse marito, per non doverla restituire ai genitori. Volevano anzi che sposasse un essere ripugnante del regno fatato. La Principessa era all'oscuro di tutto ciò, e un giorno si invaghì di un giovane che passò per caso sotto la finestra della torre. Il tempo passò, e i due presero ad amarsi di nascosto, progettando la fuga della Principessa e le loro felici nozze. Purtroppo però le fate scoprirono presto il segreto della loro figlia adottiva e la punirono gravemente: uccisero il giovane senza pietà e trasformarono lei e i sudditi del castello di suo padre in gatti. La maledizione si sarebbe spezzata solo quando un giovane Principe, somigliante in tutto e per tutto a quello che lei aveva amato, non si fosse innamorato di lei. Il nostro Principe, come avevo già detto, somigliava molto all'amore perduto della Principessa, sicché era stato in grado di rompere l'incantesimo per sempre.
Gatta Bianca concluse il suo racconto dicendo: "Io vi amo, o signore, più della mia vita, E questo è il momento di partire per andare da vostro padre: vedremo quali sono i suoi sentimenti verso di me, e se è disposto a rendervi contento." 
Uscì: il Principe le diede la mano e insieme salirono in una carrozza molto più bella e magnifica di tutte quelle che aveva avuto fin allora. 
Giunti tutti a palazzo,  i cortigiani corsero subito ad avvisare il Re dell'arrivo dei Principi. 
"Hanno con sé delle belle donne?"
"Non s'è veduto mai nulla d'eguale!..." A quanto pare, questa risposta non garbò troppo al Re. I due Principi si affrettarono a salire le scale con le loro Principesse, che erano due occhi di sole. Il Re li ricevette e non sapeva a quale delle due dovesse dare la preferenza. Voltatosi al minore dei figli, gli domandò: "Come va che questa volta siete tornato solo?". 
"Vostra Maestà vedrà dentro questo cristallo una gattina bianca, che miagola con tanta grazia e che ha le zampine più morbide del velluto, e son sicuro che le piacerà", rispose il Principe. 
Il Re sorrise e si mosse per aprire il blocco di cristallo, ma appena si fu accostato il blocco andò in mille pezzi e la Principessa ne uscì fuori come il sole dopo essere stato un po' di tempo nascosto fra le nuvole: i suoi capelli biondi erano sparsi per le spalle e in grandi riccioli le cadevano giù fino ai piedi. In capo aveva tutti fiori e la sua veste era di leggerissimo velo bianco foderato di seta rosa. Si alzò e fece una profonda riverenza al Re, il quale nel colmo dell'ammirazione non poté frenarsi dall'esclamare: "Ecco veramente la donna senza confronto e che merita davvero la mia corona". 
"Signore", ella disse, "io non son venuta qui per togliervi un trono che occupate così degnamente: sono nata con sei regni, permettete anzi che io ne offra uno a voi e uno per uno ai vostri figli. In ricompensa non vi domando altro che la vostra amicizia e questo giovane Principe per mio sposo. I tre regni che avanzano sono più che sufficienti per noi." 
Il Re e tutta la Corte fecero un gran baccano con urli di ammirazione e di allegrezza incredibile. Le nozze si celebrarono subito, e quelle dei due fratelli ugualmente: motivo per cui per diversi mesi furono feste, baldorie, divertimenti e corte bandita. Poi ciascuno partì per andare a governare i propri Stati e la bella Gatta Bianca si immortalò non tanto per la bontà e per la generosità del suo cuore, quanto per il suo raro merito e per la sua gran bellezza. La cronaca di quel tempo racconta che Gatta Bianca diventò il modello delle buone mogli e delle madri sagge e perbene. E io ci credo. Dal triste esempio avuto in casa, aveva imparato a sue spese che le follie e i capricci delle mamme spesso sono cagione di grandi dispiaceri per i figli.

4 commenti:

  1. Appena ho un secondo di tempo me la leggerò! Sono curiosissima :P

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    1. Ciao Ika! Questa fiaba è infinita, l'ho tagliuzzata qua e là, accorciandola di moltissimo, ma non è servito a rendere la storia più breve. Grazie per essere passata! =D

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